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26 dicembre 2005

Simone Massa


Almeno una volta nella nostra vita ci siamo ritrovati a pensare:
"Vorrei fermare il tempo, tornare indietro e cambiare tutto".
Simone, se potesse, esprimerebbe questo desiderio. Con lui lo farebbero i suoi familiari, i suoi amici...
Questa è una di quelle storie che aiutano a meditare sugli eventi che possono cambiare la nostra vita e quelle di coloro che ci vivono accanto.

Simone affrontava, a Firenze, un'esperienza nuova, intrigante, affascinante. Aveva diciannove anni, era un ragazzo particolarmente bello, con un forte appeal sulle ragazze, ammirato e amato per il carattere estroverso e cordiale che lo contraddistingueva. Svolgeva un’attività a tratti pericolosa: costruiva e smontava impalcature in tubi innocenti, quelle che permettono di utilizzare i ponteggi per il restauro delle facciate dei palazzi. Lavoro adrenalinico ma in sintonia con una naturale inclinazione per una vita piena di brio.
Simone adorava sentire il vento nei lunghi capelli se correva con la moto per le strade della sua amata marina di Arbus ed i suoi occhi, di un verde unico e intenso, ridevano come quelli di un bambino per la gioia di vivere con tale intensità la sua giovinezza.
Poi una notte del 1995, l’otto d'aprile, qualcosa cambia per sempre le regole del gioco…
Simone a Firenze, città d'arte del continente, quella notte guidava un'auto.
Torniamo con la mente a quando eravamo ragazzi per capire cosa può significare per un diciannovenne tutto ciò: affermazione della propria indipendenza, essere adulto, grande.
Alla guida della vettura percorreva, in compagnia di un amico, le strade cittadine. Due luci in senso contrario, fari di una macchina poi scomparsa nel nulla, e forse la sua inesperienza nella guida, cambiarono, d'improvviso, il senso e i ritmi della sua vita e quella dei suoi cari. La vettura si schiantò sul muro di una casa sfondandolo.
Coma profondo.
Venticinque giorni dopo Simone si svegliò e tutti gridarono al miracolo. Si accesero le speranze: il ragazzo avrebbe compiuto 20 anni ad agosto, non era giusto.

Da allora sono trascorsi quasi 10 anni ma le cose non sono cambiate poi tanto. Simone vive in casa dei suoi genitori. Mi correggo: vive in casa con la madre. Il padre non c'è più, è morto tre anni fa. Forse non è riuscito a sopportare il peso di un dolore così grande.
Nel soggiorno della casa è evidente la presenza di un monitor da 14 pollici in bianco e nero che sorveglia, attraverso l’occhio di una telecamera, la vita di Simone. Sono inquadrate tre persone che si prendono cura di lui. Amorevolmente e con professionalità lo detergono, lo cambiano, lo stimolano a livello muscolare, ridono con lui e ci parlano… lui sembra capire, sembra condividere.
Ho davanti due donne: la madre e la sorella
Sentono l’enorme peso del dover assistere un ragazzo con una patologia come quella di Simone: una sindrome spastica che gli impedisce di avere una vita normale, che pretende un'azione continua di sorveglianza, che non gli permette di comunicare come una persona normale. Gli anni cominciano a sopraffare il fisico della madre: un’ernia del disco, l’asma, una calcificazione delle ossa delle anche.
La sorella di Simone mi conferma enormi progressi, da quel giorno in cui Simone si svegliò, ma anche una palese regressione intellettiva e che soffre d’ansia perché la sua condizione lo tormenta, lo deprime.
È tremenda, però, anche la vita dei suoi cari, prigionieri di questa situazione, schiavi d’amore per Simone ma distrutti da un’immane fatica fisica per poterlo accudire: solo durante la notte è necessario che la madre si alzi per aiutarlo a girarsi da un fianco all’altro almeno quattro o cinque volte. Di giorno, ma non tutti i giorni, intervengono i servizi sociali, ma non bastano. Per questo un accompagnatore, pagato, deve prestare la sua opera ogni giorno.
Ma i soldi non sono sufficienti: si spende più di quanto possano garantire la pensione d’invalidità civile e l’indennità d’accompagnamento.
C’è una frase della madre che mi ha colpito tanto e che chiarisce fino in fondo quale dramma accompagni la sua quotidiana e, umanamente parlando, sacrosanta voglia di vivere una vita normale: “…anche il medico mi ha detto che devo fare un viaggio per recuperare, perché anche io ho diritto alla vita… almeno per qualche giorno. Perché questa, da quel giorno, non è più vita…”.
Ho provato tenerezza per lei, la stessa che ho provato per il figlio.
Sul tavolo ci sono decine di fotografie che raccontano il passato di Simone: Simone sulla moto, Simone con la ragazza dell’epoca, Simone che bacia in bocca, con passione, una ragazza, Simone sommerso dagli amici…
Vorrei fermare il tempo, tornare indietro e cambiare tutto… ma non posso.

Sono trascorsi 12 mesi da allora.
Scrissi questo articolo per "Il Campidanese" del dicembre 2004.
Alcune settimane sono trascorse da quando un piccolo miracolo è accaduto: Simone si è svegliato!
Sorride, capisce, si siede... anche se non può deambulare.

Dio si è ricordato di lui. Grazie Signore.

La vita è un dono...

1 Comments:

Blogger Unknown said...

Caro Simone ho un'enorme dispiacere per quanto ti è successo ma sono anche contenta che hai avuto dei miglioramenti. I momenti che abbiamo trascorso insieme sono stati stupendi e tu lo sai. Eravamo giovani, ragazzini, ma ci siamo amati tanto. Ricordati che avrai sempre un posto nel mio cuore. Cristina da Genova.

domenica, 06 settembre, 2009  

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