Google

29 dicembre 2005

Fra Nazareno.


Erano quasi le ventidue di un sabato di febbraio, il ventinove, del 1992.
Rendeva l’anima a Dio, a ottant’anni, un frate, dopo una vita austera e ricca di preghiera, conosciuto col nome di Fra Nazareno.
Il suo vero nome era Giovanni Zucca ed era nato a Pula (CA) il 21 gennaio 1911 da una coppia di contadini. Per la gran povertà che conobbe fu costretto, fin da bambino, a lavorare e sostenere col suo aiuto la famiglia ma soprattutto a rinunciare agli studi. Questo non gli impedì di avvicinarsi alla preghiera. Anni accompagnati da rigore morale e attenzione alla parola di Dio che gli permisero di compiere i primi decisivi passi per la sua crescita spirituale.
Nonostante fosse un bel ragazzo, come racconta chi lo conobbe giovanissimo, non si fece sedurre dalla possibilità di approfittarne.
Nonostante le tante occasioni.
La guerra in Etiopia lo vide soldato orgoglioso di servire la patria. Terminata la guerra decise di restare in Africa per iniziare una propria attività di commercio.
Fu una piccola parentesi perché lo scoppio della seconda guerra mondiale lo vide indossare ancora una volta la divisa e finire, addirittura, prigioniero in Kenya. Furono cinque terribili e interminabili anni di prigionia.
Alla fine della guerra decise di rientrare in patria e abbandonare ogni proposito di insediamento in terra d’Africa. Una volta a casa si diede da fare per trovare un lavoro e qualche tempo dopo fu assunto alla S.I.T.A. (ora ARST).
Iniziò per lui un percorso di vita normale che, secondo la prassi più comune, avrebbe dovuto creare le condizioni per crearsi una famiglia, comprare una casa, avere dei figli. Il suo sarà un destino diverso. In tutti questi anni, fin dalla fanciullezza, la preghiera era una costante quotidiana della sua esistenza ma già dal suo ritorno dall’Africa qualcosa era cambiato: sentiva di dover fare qualcosa di più, era la “chiamata”, era Dio che reclamava, secondo il ricordo delle sue parole, che lui diventasse servo suo. Tutto divenne più chiaro a seguito di un incontro che lo indirizzò definitivamente verso una strada di vita dedicata al prossimo e a Dio: un viaggio a San Giovanni Rotondo, un incontro con Padre Pio e la sua vita cambiò per sempre.
Viveva d’elemosina e preghiera, distribuiva le sue “famose” caramelle e aveva una buona parola per chiunque. La gente amava aprirgli il proprio cuore come fosse un sacerdote, confessando ogni pena dell’anima e confidando nella sua parola… non sempre gentile, a volte tagliente.

Forse sarà beatificato. Forse un giorno sarà possibile parlare di lui come Santo.
Si parla d’alcuni eventi straordinari che potrebbero favorirne la possibilità.
Perché no? Oggi si è già santi se si riesce a resistere alle tentazioni di una vita basata sull’effimero: apparire piuttosto che essere, avere piuttosto che dare, possedere piuttosto che dividere. Una vita francescana non cattura quanto la notorietà raggiunta in breve tempo con un reality show. Ecco quindi che personaggi unici come Madre Teresa di Calcutta o Fra Nazareno, il buon Giovanni, ci riportano, attraverso il loro esempio, a valori di formidabile forza e ad una filosofia, un esempio di comportamento, che da soli dovrebbero garantire, come non mai, il diritto ad essere chiamati Santi.
Anche senza miracoli di guarigione fisica.
A quelli provvede già bene la medicina ufficiale, con progressi sempre più da fantascienza.
Ora c’è tanto bisogno di guaritori d’anime, sempre più malate, sempre più moribonde, sempre più in coma, sempre più inesistenti.
Gianni Piludu
Il Cagliaritano Maggio 2005