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15 gennaio 2006

I nostri figli sono la nostra eredità.

I nostri figli sono la nostra eredità.
Posso solo immaginare, forse, quanto dolore può provare un genitore davanti ad un evento tragico come quello della perdita di un figlio…

Tutto comincia con il progetto di volerne mettere al mondo uno. E con la paura di non farcela.
Tutte le complicazioni che comporterà alla tua vita, le rinunce cui andrai incontro, le notti insonni, l’aspetto economico, poi!
I figli costano!
Solo di pannolini… e le pappe? Poi crescono troppo in fretta! Le scarpine che hai acquistato solo poche settimane prima sono già piccole… e non sono l’unico problema, non si finisce più! Bisogna riflettere bene prima di mettere al mondo un figlio. Devi garantirgli una vita serena. Magari rinunciare a cose che t’interesserebbe fare... ma tuo figlio no! Lui non deve patire privazioni.
Sono miliardi i pensieri che t’impediscono di fare il passo o che rallentano la decisione.
Eppure il primo ingrediente, il più importante e unico davvero indispensabile, è l’amore.
Un figlio lo devi volere prima col cuore, poi con la testa. Tutto il resto verrà da sé.

Cominciai a parlare con la mia prima figlia già dal primo giorno in cui seppi che io e mia moglie ce l’avevamo fatta ( al secondo tentativo!). Le parlavo ogni giorno. Quel pancione cresceva e io comunicavo con lei parlandole come se fosse la cosa più logica e naturale. Lei era lì dentro, immersa nel liquido amniotico, e io dall’altra parte dell’universo, nel nostro mondo reale…
Quando nacque andai incontro a mia moglie, stesa sulla lettiga in sala pre-parto. Il fagottino, mia figlia, era adagiato sul suo braccio sinistro con la testina rivolta al viso della madre ma nel momento in cui sentì la mia voce quella testolina si voltò verso me, riconoscendone il suono. Era veramente bella. Non ebbi più dubbi: giusta scelta volere un figlio, allargare la famiglia.
I primi bagnetti, i dentini, le prime parole, la prima volta che sta in equilibrio, i primi passi, le prime note sul pianoforte… Arriva la sorellina, si trasforma in mammina responsabile, gli occhiali, il primo giorno di scuola, impara a scrivere e leggere, arrivano i caratteri sessuali secondari e la sua chiusura in riservatezza totale (al contrario della sorella che si apre a confidenze e a ricerca di complicità per l’evento!) i primi amori, le prime delusioni, i cellulari e gli infiniti ticchettii di dita frenetiche sulla tastierina che diffonde parole nell’etere sotto forma di sms…
Ho scelto, ed avuto la fortuna, di avere due figli: più precisamente sono padre di due ragazze…

Ho la certezza di aver creato le migliori condizioni perché loro non si debbano lamentare di avere un padre rompi… eppure non sono riuscito a sfuggire alle loro critiche e ad atteggiamenti, anche di sfida, che mi hanno messo molte volte in difficoltà.
I figli non sono mai soddisfatti dei genitori che hanno?
Non so rispondere. Io ho avuto e continuo ad avere un rapporto difficile coi miei genitori e, secondo me, ho creato le migliori condizioni per non far soffrire le mie ragazze per motivi analoghi.

Dal primo dell’anno non mi relaziono con loro. Evito di parlare con le ragazze a tavola o nel corso della giornata. Solo “Ciao” e “Buonanotte”.
Ho scelto di farlo perché sono stanco di dare e non ricevere. E non parlo di cose particolari: parlo d’amore e rispetto. Lo stesso che ricevono da me.
Per Capodanno sono andate ad Alghero. A mezzanotte le ho sentite fugacemente, poi ho mandato loro un sms. Il giorno successivo, in mancanza di contatti, ho telefonato alle 14.00. Ho svegliato Raffaella, ma Giulia era sveglia dalle 11.00. E non ha pensato di farci uno squillo? Non ha sentito il desiderio di sentirci?
Sono ragazzi… i tempi sono cambiati… devi capire… bla bla bla....

Quante volte mi sono sentito dire queste enormi cazzate. Ma l’amore? Dov’è l’amore? Dov’è quell’amore simile a quello che mi ha dato la forza di metterle al mondo, di educarle a crescere nel rispetto di valori unici e irrinunciabili come la famiglia? Perché l’indifferenza anziché l’amore?
2 gennaio. Sveglio dalle sei di mattina, a causa di un vento battente e pioggia fitta, il primo pensiero è per mie figlie che oggi dovrebbero rientrare. Sono preoccupato perché in passato sono uscito fuoristrada parecchie volte a causa della pioggia. Vado a lavoro e sul giornale leggo della tragedia di Tortolì. Una Jeep volata nel vuoto e tre giovani vite spezzate. Il pensiero che potevano essere mie figlie…
Una intera mattinata trascorsa ad attendere uno squillo per sapere quando sarebbero partite… nulla!
Alle 14 sono a casa e mia moglie mi comunica di aver parlato con loro e che sarebbero rientrate nel primo pomeriggio. Ma, dico io, uno squillo potevano farmelo. Possibile che da ieri (e le ho chiamate io!) non sentono il bisogno di sentire il padre?
- Beh… sai Giulia è sconvolta perché una sua amica è morta in un incidente stradale a Tortolì. Ho chiamato io ed è uno straccio...
Lo straccio sono io che non riesco a capire perché mie figlie non sentono la necessità di comunicare con me, di farmi uno squillo per tranquillizzarmi o solo per dirmi: “Ti voglio bene…”. Perché?
Ne parlo con mia moglie. E mi infervoro anche! Non lo accetto: Non sono un padre che si merita figli come questi. Lei annuisce, mi da ragione. Capisce che non è giusto ma cerca di collegarlo al fatto che è morta un’amica di Giulia. Vabbè! Ma l’altra sorella? Quella non poteva chiamare?
Vado a lavoro con i nervi a fior di pelle. Sono furibondo. Non ho ancora neppure parcheggiato che mi squilla il cellulare. È Raffaella. Respingo la telefonata. Entro in ufficio. Altro squillo. Respingo ancora. Terzo squillo. Respingo e chiamo mia moglie. “Non mi interessa che mi chiamino a seguito di un tuo intervento. Pretendo le loro scuse per questo atteggiamento ingiusto e inqualificabile.”
Mi arriva un sms. “Stiamo partendo. Baci…”
BACI? …BACI??? E che sono: il vicino di casa della loro amica? Ma scherziamo? Baci????
Non ci sto. Quando torno a casa mi vengono incontro per un fugace saluto. Poi spariscono. E le scuse? Ma non ci sono spazi per chiarire che così non si fa?... Pare di no.
Mi meraviglia mia moglie. Tranquilla.
E ridono e discutono di tante cose… io non sono oggetto di discussione, cazzetti miei… mi passerà. Il giorno dopo ( mi sono preso ventiquattro ore di tempo ) le cose non cambiano. Anzi mia moglie è ancora più “ciuciuciù” che mai con le ragazze. E allora chiudo il rubinetto anche con lei.
Sono trascorsi 15 giorni e nulla si muove…

I nostri figli sono la nostra eredità. Ma a me quest’eredità non piace.
Non sono l’immagine di ciò in cui credo io. Così non possono essere la mia eredità...



Gianni Piludu

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

..............Facciamo in modo, che non manchi loro nulla, magari ci ammazziamo di lavoro per poterli mandare in una scuola privata o per acquistare un giocattolo in più, una maglietta firmata, ecc .Ma siamo sicuri, di essere veramente attenti ai loro bisogni interiori? Possiamo definire veramente, tutte queste cose, bisogni reali?. Io penso, che le cose di cui hanno urgente necessità siano altre e cioè, genitori presenti che li ascoltino anche quando dalle loro labbra non esce una parola, genitori che sappiano sentire il loro cuore, genitori che siano il loro punto di riferimento, genitori autorevoli, ma con la grande capacità di non cadere nel degradante tranello dell’ autorità, genitori che li amino così come sono e che non cerchino di farne in continuazione dei figli perfetti.
Per arrivare ad essere in questo modo c è solo una strada, ed è quella di conoscere noi stessi. Se impareremo a conoscere noi stessi, conosceremo i nostri figli e saremo in grado di aiutarli a crescere e di educarli nella maniera migliore.
Pubblicazioni di ogni genere, test psicologici alla spicciola su settimanali pettegoli ad insegnarci il mestiere di genitori.
Come si fa mi dico io? Come si fa a non capire che così i problemi non si risolvono?
Come si fa a non capire che da persone ammalate dentro non possono che nascere bambini già ammalati ancora prima di vedere la luce, ancora prima di respirare?.............

...............................Il mondo in questi 25 anni è molto cambiato, ma i giovani sono sempre gli stessi.
Gli stessi traumi, le stese paure, le stesse angosce di allora per i ragazzi di oggi e questa situazione non migliora, anzi mi permetto di affermare che le cose peggiorano. La ragione è una sola: forse non serve solo la scienza, forse non serve solo la religione, forse serve qualcosaltro: serve scoprire come riuscire a guarire dai nostri mali interiori, da quei mali che non ci uccidono, ma ci trasformano dentro, facendo di noi delle persone a rischio per sé e per gli altri. Quindi la prima cosa da fare è saper individuare quei mali.
Quando veniamo al mondo, la nostra mente, la nostra coscienza sono vuote, trasparenti, poi, durante la nostra crescita succede qualcosa, ma cosa?
Tutti veniamo cresciuti, ognuno di noi dalla propria famiglia e ogni famiglia farà uso dei i suoi sistemi che sono a loro volta, il risultato di sistemi precedenti.
Alla luce di tutto questo, chi può dire veramente di non avere mai usato con i propri figli, metodi, parole o espressioni acquisite dai propri genitori? Io sono certo che almeno un paio di volte, tutti noi l’abbiamo fatto.
Siamo noi a crescere i nostri figli. E da noi apprenderanno tutte le nozioni necessarie del saper vivere e siamo ancora noi che raccoglieremo i risultati del nostro lavoro. E sempre stato così e sarà sempre così fino alla fine del mondo. Noi arriviamo su questa terra e impariamo da chi è venuto prima di noi e chi verrà dopo di noi, avrà in sé anche qualcosa di nostro.
Allora, se è vero che ai nostri figli siamo in grado di trasmettere solo ci che noi stessi abbiamo ricevuto, questo è in momento di cominciare a riflettere seriamente su cosa ci è stato dato..................
Ciao Donato

sabato, 13 maggio, 2006  

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