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29 gennaio 2006

Soldato Blu


Il sole picchiava forte, quel giorno
E l'aria era pesante da respirare
Soldato blu scrutava da quel forno
Il suo destino era quello di sparare

La mente stanca, ed altre sigarette
E gli occhi vecchi per i troppo vegliare
Di questa guerra non si capiva un'ette
L'unico scopo era di non farsi ammazzare

Soldato blu, angelo della morte
Vento d'inferno che spazza tutto via
Soldato blu, cavalieri del tempo
Vengono armati con falci d'argento

E se pensare alla vita da civile
È un modo come altri per non impazzire
Pensare a questa vita fa scoppiare la bile
Il nemico li davanti è solo spazio da pulire

E quante anime lasciavano quel posto
Per quanti corpi abbandonati li a marcire
Lui lo sapeva, ormai questo era il costo
E da quel fosso li non si poteva fuggire

Soldato blu, angelo della morte
Vento d'inferno che spazza tutto via
Soldato blu, cavalieri del tempo
Vengono armati con falci d'argento

Signora morte è qui davanti a lui
Vestita di piume, colorata sul viso
si tratta di aspettare...è tutto ciò che puoi
Farà buona impressione un buon sorriso

Il sole picchiava forte quel giorno
E l'aria era pesante, quella di un forno.
Soldato blu con un sorriso in volto
Lasciava il profumo di un fiore appena colto.





brano tratto da "Coriandoli"
Gianni Piludu
Centro Studi Stampace Editore

28 gennaio 2006

I nostri figli sono la nostra eredità... parte seconda...

Mie figlie ed io abbiamo parlato.
Il silenzio di tanti giorni ha fatto il suo tempo.
Abbiamo chiarito e si sono scusate…
La morte improvvisa di questi ragazzi le ha troppo sconvolte.
Non sono riuscite a pensare ad altro…

Ho esagerato anche io… Ho peccato di egoismo.

Giulia mi ha parlato, e si è scusata, soprattutto attraverso una letterina di tre pagine scritte con la sua grafia rotonda e quasi indecifrabile.
Mi ha scritto che le è mancato parlare con me, in particolare della sofferenza per la scomparsa dell’amica…

So cosa prova. È successo anche a me, in passato, di veder morire miei coetanei…

Preferisco aspettare.

Sono ancora convalescente per l’intervento per la riduzione della miopia e sono concentrato sulla pubblicazione del mio nuovo libro che uscirà per San Valentino…

Quando sarò più sereno l’affiancherò come si conviene.

Il primo campeggio...


A diciotto anni feci l'esperienza del mio primo campeggio.
A Villasimius c'ero stato per la prima volta solo due settimane prima, per alcune serate di "Piano Bar" al Simius Playa. Ero incantato dalla bellezza di quei posti meravigliosi, ancora poco frequentati.
In quella occasione presi una sbandata per una ragazza francese veramente bella (la copertina di VOGUE di alcuni mesi prima la vedeva protagonista).
Ma cominciamo per gradi.
Partimmo in quattro: io, Roberto D., Mauro P. e Sandro A.
Campeggio libero!
Al nostro arrivo ci piazzammo vicini ad una tenda occupata da alcuni ragazzi di Monastir (CA). Io ero decisamente afono. La sera prima ero stato ad un concerto in piazza di musica reggae. Era di Emy Anderson, un cantante di colore giamaicano particolarmente famoso all'epoca e avevo gridato e urlato come si conviene in un simile contesto. Durante il frugale pasto (panini per cena!) i ragazzi di Monastir ci fecero notare una tenda canadese occupata da alcune belle donne arrivate due giorni prima. Prede impossibili, secondo loro ma non secondo me. Studiai, con Sandro, la possibilità di un approccio e decidemmo di invitarle per un caffè. Ci avvicinammo alla loro tenda e ...il risultato fu che loro si spaventarono e urlarono. A nulla valsero i miei tentativi, in inglese considerato che non parlavo francese, di spiegare che non avevamo cattive intenzioni. Tornammo sui nostri passi veramente preoccupati, e qualcuno gia parlava di possibili denunce a nostro carico, poi il miracolo: una di loro era ortofonista e, colpita dalla mia raucedine, decise di avvicinarsi insieme alle altre due per somministrarmi un fenomenale aerosol. Una volta chiarite le nostre buone intenzioni prendemmo un caffè insieme.
Giustificai la mia raucedine col fatto che ero stato invitato dal "mio amico Emy Anderson" ad un suo concerto e che mi ero sgolato cantando con la sua band. La sparai veramente grossa!
Loro conoscevano il cantante, ma fui creduto e mi guadagnai una certa simpatia.
Dal giorno dopo cominciai un corteggiamento stretto con il contributo di enormi stelle marine, che andavo a pescare al largo della spiaggia, caricature, ritratti e canzoni al chiaro di luna.
La nostra settimana volgeva al termine.
I vicini di tenda facevano a gara per invitarci a cena ogni notte. La chitarra era un buon traino, e il mio repertorio era vasto. Mauro ( mio alter ego alla chitarra ), a disagio per la vita da campeggiatore, ci aveva lasciati gia dal secondo giorno ma la cosa non ci creava problemi. Sandro propose un addio in grande stile.
Coi soldi risparmiati nel corso di una settimana di cene a scrocco comprammo carne, pesce, cioccolatini, vino e whisky.
La sera ci riunimmo intorno ad un grande falò, cenammo con piacere ed allegria e io continuai a corteggiare senza tregua. Risultato: prima riuscii a strappare un piacevole bacio all'ortofonista, poi vinsi ogni titubanza e mi dedicai alla sua amica modella, Anita.
Non c'era verso di convincerla a darmi un bacio. Mi dovetti arrendere e allora le offrii un bacio di cioccolato. Mi guardò con tenerezza mentre traducevo per lei il bigliettino. Fu così che si mise il cioccolatino tra i denti e mi offrì di addentarne la metà. E io lo trasformai in un bacio vero. Fu un lungo, tenero e dolce e mi rubò l'anima.
Poi, lei, come se si svegliasse d'improvviso, mi allontanò dolcemente dicendomi: "Non è possibile " . Aveva ventisette anni e la cosa la imbarazzava molto.
Passeggiammo fino all'alba mano nella mano, ma ci baciammo ancora ... teneramente.

Il giorno successivo partii in lacrime. Ci demmo appuntamento al porto di Cagliari per la settimana seguente.
Ad aspettarle ero andato con Mauro. Al loro arrivo ci abbracciammo tutti tra le lacrime. Lei era più bella che mai e io avrei voluto mollare tutto per partire con lei. Ad un tratto una delle tre francesi esclamò: "Ma quello non è Emy Anderson?!?" Avrei voluto scappare o peggio sotterrarmi o non essere mai esistito. Come al solito la mia faccia di bronzo mi salvò la vita!
Mi armai di un immenso coraggio e gli andai incontro felice e sorridente. Contavo sul fatto che aveva visto tanta gente nei giorni precedenti. Gli dissi:" Emy amico mio, come stai? È un piacere rivederti ancora in Sardegna, permettimi di presentarti le mie amiche " Lui convinto di conoscermi, e anche bene, mi venne incontro abbracciandomi come si fa con un vecchio amico, e mentre stringeva le mani alle francesi, io venivo calorosamente abbracciato dalle sue splendide coriste ...insomma, ne uscii alla grande!

L'ultimo ricordo di lei è un tenero bacio salato che ci demmo prima dell'imbarco.
I nostri occhi erano pieni di pianto.




brano tratto da "Coriandoli" - Gianni Piludu
Centro Studi Stampace Editore

15 gennaio 2006

I nostri figli sono la nostra eredità.

I nostri figli sono la nostra eredità.
Posso solo immaginare, forse, quanto dolore può provare un genitore davanti ad un evento tragico come quello della perdita di un figlio…

Tutto comincia con il progetto di volerne mettere al mondo uno. E con la paura di non farcela.
Tutte le complicazioni che comporterà alla tua vita, le rinunce cui andrai incontro, le notti insonni, l’aspetto economico, poi!
I figli costano!
Solo di pannolini… e le pappe? Poi crescono troppo in fretta! Le scarpine che hai acquistato solo poche settimane prima sono già piccole… e non sono l’unico problema, non si finisce più! Bisogna riflettere bene prima di mettere al mondo un figlio. Devi garantirgli una vita serena. Magari rinunciare a cose che t’interesserebbe fare... ma tuo figlio no! Lui non deve patire privazioni.
Sono miliardi i pensieri che t’impediscono di fare il passo o che rallentano la decisione.
Eppure il primo ingrediente, il più importante e unico davvero indispensabile, è l’amore.
Un figlio lo devi volere prima col cuore, poi con la testa. Tutto il resto verrà da sé.

Cominciai a parlare con la mia prima figlia già dal primo giorno in cui seppi che io e mia moglie ce l’avevamo fatta ( al secondo tentativo!). Le parlavo ogni giorno. Quel pancione cresceva e io comunicavo con lei parlandole come se fosse la cosa più logica e naturale. Lei era lì dentro, immersa nel liquido amniotico, e io dall’altra parte dell’universo, nel nostro mondo reale…
Quando nacque andai incontro a mia moglie, stesa sulla lettiga in sala pre-parto. Il fagottino, mia figlia, era adagiato sul suo braccio sinistro con la testina rivolta al viso della madre ma nel momento in cui sentì la mia voce quella testolina si voltò verso me, riconoscendone il suono. Era veramente bella. Non ebbi più dubbi: giusta scelta volere un figlio, allargare la famiglia.
I primi bagnetti, i dentini, le prime parole, la prima volta che sta in equilibrio, i primi passi, le prime note sul pianoforte… Arriva la sorellina, si trasforma in mammina responsabile, gli occhiali, il primo giorno di scuola, impara a scrivere e leggere, arrivano i caratteri sessuali secondari e la sua chiusura in riservatezza totale (al contrario della sorella che si apre a confidenze e a ricerca di complicità per l’evento!) i primi amori, le prime delusioni, i cellulari e gli infiniti ticchettii di dita frenetiche sulla tastierina che diffonde parole nell’etere sotto forma di sms…
Ho scelto, ed avuto la fortuna, di avere due figli: più precisamente sono padre di due ragazze…

Ho la certezza di aver creato le migliori condizioni perché loro non si debbano lamentare di avere un padre rompi… eppure non sono riuscito a sfuggire alle loro critiche e ad atteggiamenti, anche di sfida, che mi hanno messo molte volte in difficoltà.
I figli non sono mai soddisfatti dei genitori che hanno?
Non so rispondere. Io ho avuto e continuo ad avere un rapporto difficile coi miei genitori e, secondo me, ho creato le migliori condizioni per non far soffrire le mie ragazze per motivi analoghi.

Dal primo dell’anno non mi relaziono con loro. Evito di parlare con le ragazze a tavola o nel corso della giornata. Solo “Ciao” e “Buonanotte”.
Ho scelto di farlo perché sono stanco di dare e non ricevere. E non parlo di cose particolari: parlo d’amore e rispetto. Lo stesso che ricevono da me.
Per Capodanno sono andate ad Alghero. A mezzanotte le ho sentite fugacemente, poi ho mandato loro un sms. Il giorno successivo, in mancanza di contatti, ho telefonato alle 14.00. Ho svegliato Raffaella, ma Giulia era sveglia dalle 11.00. E non ha pensato di farci uno squillo? Non ha sentito il desiderio di sentirci?
Sono ragazzi… i tempi sono cambiati… devi capire… bla bla bla....

Quante volte mi sono sentito dire queste enormi cazzate. Ma l’amore? Dov’è l’amore? Dov’è quell’amore simile a quello che mi ha dato la forza di metterle al mondo, di educarle a crescere nel rispetto di valori unici e irrinunciabili come la famiglia? Perché l’indifferenza anziché l’amore?
2 gennaio. Sveglio dalle sei di mattina, a causa di un vento battente e pioggia fitta, il primo pensiero è per mie figlie che oggi dovrebbero rientrare. Sono preoccupato perché in passato sono uscito fuoristrada parecchie volte a causa della pioggia. Vado a lavoro e sul giornale leggo della tragedia di Tortolì. Una Jeep volata nel vuoto e tre giovani vite spezzate. Il pensiero che potevano essere mie figlie…
Una intera mattinata trascorsa ad attendere uno squillo per sapere quando sarebbero partite… nulla!
Alle 14 sono a casa e mia moglie mi comunica di aver parlato con loro e che sarebbero rientrate nel primo pomeriggio. Ma, dico io, uno squillo potevano farmelo. Possibile che da ieri (e le ho chiamate io!) non sentono il bisogno di sentire il padre?
- Beh… sai Giulia è sconvolta perché una sua amica è morta in un incidente stradale a Tortolì. Ho chiamato io ed è uno straccio...
Lo straccio sono io che non riesco a capire perché mie figlie non sentono la necessità di comunicare con me, di farmi uno squillo per tranquillizzarmi o solo per dirmi: “Ti voglio bene…”. Perché?
Ne parlo con mia moglie. E mi infervoro anche! Non lo accetto: Non sono un padre che si merita figli come questi. Lei annuisce, mi da ragione. Capisce che non è giusto ma cerca di collegarlo al fatto che è morta un’amica di Giulia. Vabbè! Ma l’altra sorella? Quella non poteva chiamare?
Vado a lavoro con i nervi a fior di pelle. Sono furibondo. Non ho ancora neppure parcheggiato che mi squilla il cellulare. È Raffaella. Respingo la telefonata. Entro in ufficio. Altro squillo. Respingo ancora. Terzo squillo. Respingo e chiamo mia moglie. “Non mi interessa che mi chiamino a seguito di un tuo intervento. Pretendo le loro scuse per questo atteggiamento ingiusto e inqualificabile.”
Mi arriva un sms. “Stiamo partendo. Baci…”
BACI? …BACI??? E che sono: il vicino di casa della loro amica? Ma scherziamo? Baci????
Non ci sto. Quando torno a casa mi vengono incontro per un fugace saluto. Poi spariscono. E le scuse? Ma non ci sono spazi per chiarire che così non si fa?... Pare di no.
Mi meraviglia mia moglie. Tranquilla.
E ridono e discutono di tante cose… io non sono oggetto di discussione, cazzetti miei… mi passerà. Il giorno dopo ( mi sono preso ventiquattro ore di tempo ) le cose non cambiano. Anzi mia moglie è ancora più “ciuciuciù” che mai con le ragazze. E allora chiudo il rubinetto anche con lei.
Sono trascorsi 15 giorni e nulla si muove…

I nostri figli sono la nostra eredità. Ma a me quest’eredità non piace.
Non sono l’immagine di ciò in cui credo io. Così non possono essere la mia eredità...



Gianni Piludu

14 gennaio 2006

Casa Lions: accoglienza malati oncologici.


Per ricostruire la sua storia ho visitato la struttura passeggiando insieme al Prof. Pitzus, quasi fossimo vecchi amici. Lo affermo perché per modi, toni e ospitalità è stato lui a creare, in pochi minuti, le condizioni migliori per mettermi a mio agio, quasi ci conoscessimo da sempre.

Com’è nata l’idea di creare questa struttura?

- La struttura è nata per particolare desiderio coniugi Marino, soci Lions.
L’idea dei Marino fu accolta con entusiasmo e sposata con un contributo di circa 700 milioni delle vecchie lire raccolti direttamente dai Lions Sardegna, Toscana, Lazio e Umbria (distretto 180L).
Nel 1994 il progetto prese corpo e lo stabile cominciò a nascere. Una successiva donazione di un miliardo e cento milioni permise di terminare l’opera.

Contributi esterni?

- Il Comune di Cagliari contribuì cedendo il terreno, di sua proprietà, e concedendo la licenza edilizia per la realizzazione di questo fabbricato che poi una legge assegnò all’ASL N. 8. L’ASL, a questo punto la restituì, con una concessione ventennale eventualmente rinnovabile, ai Lions.
Per poter costruire questo sogno, per realizzare quest’idea sono stati importanti i contributi di alcuni Enti pubblici: la CARIPLO, il BANCO DI SARDEGNA, L’Associazione Emopatici, la Provincia di Cagliari, La Regione. Attualmente, però, sono solo i contributi volontari della gente, anche col metodo del “passaparola”, che aiutano e sostengono.

Com’è strutturata Casa Lions?

- Richiama idealmente un albergo. C’è una reception, c’è una sala lettura e svago, ci sono camere confortevoli dotate d’ogni servizio tipico di un albergo tre stelle, e anche più. Il personale impiegato, nove persone a libro paga, vanta un alto grado di professionalità ed è in grado di superare ogni richiesta degli ospiti. Il compito di questa struttura è quello di offrire, a chiunque deve seguire controlli, praticare chemioterapia o cure radioterapiche (cicli ambulatoriali che impegnano dalle quattro alle sei settimane) o superare un trapianto di midollo osseo, di reni, di cuore, un punto di riferimento meno dispendioso di un albergo e particolarmente vicino agli ospedali d’interesse.


Non è certo un servizio che può interessare chi vive a Cagliari città. Interessa invece coloro che provengono dal resto della provincia, dalle altre province sarde, dal resto dell’Italia, dal resto del mondo, cosa che mi richiama al famoso proverbio “nemo propheta in patria” (nessuno è profeta nella sua patria). È certo che non tutti vogliono ammettere (a qualcuno sembra quasi uno scherzo e ad altri una cosa impossibile) che a Cagliari esiste una professionalità, in alcuni campi della medicina, tale da richiamare pazienti anche dall’Australia, Inghilterra, Germania. Ho visto una classificazione per zona d’origine degli ospiti della Casa Lions che si sono avvicendati negli anni. Da cagliaritano, aldilà del fatto che preferirei che di certi mali non se ne parlasse mai più, è stato motivo d’orgoglio verificare il grado d’attendibilità e serietà professionale che i nostri medici si sono guadagnati oltre i confini dell’isola.
La Casa Accoglienza è stata costruita proprio di fianco all’ospedale oncologico. Nelle immediate vicinanze troviamo l’ospedale microcitemico (trapianti di midollo), il Brotzu (trapianti in genere).
25 stanze, di cui 4 predisposte per i disabili, atrio-reception, uffici, soggiorno-pranzo, bar, cucina (particolare: ogni ospite può cucinare personalmente il suo pasto o utilizzare un servizio di ristorazione esterna), Cappella consacrata, servizi (altro particolare: lavanderia a disposizione degli ospiti con lavatrici e reparto stiratura), magazzini, terrazza-solarium.

Sono i Lions a gestire il tutto?

- No, perché non siamo un ente giuridico. Una volta terminato di costruire il fabbricato valutammo se affidarne la gestione a qualche organismo esterno o creare un’associazione per l’amministrazione della casa. Fu scelta la seconda ipotesi e creata un’Associazione O.N.L.U.S., ente giuridico senza fini di lucro, aperta a tutti e che attualmente gestisce e amministra la Casa Lions.

Con quali mezzi Vi sostenete?

- Per sostenere i costi, in particolare del personale, ogni ospite paga una modesta retta per se e per l’eventuale accompagnatore. Ad integrazione e supporto di questo ricavato, che comunque non è sufficiente, contribuiscono offerte spontanee e donazioni.

Presidente dell’Associazione Solidarietà e Servizio O.N.L.U.S. Franco Pitzus ogni giorno, anche se in pensione, è a disposizione degli ammalati. Il suo impegno non si esaurisce qui. Il più faticoso è quello di tessere le trame di relazione che possano fare affluire i fondi di cui l’Associazione necessita ovvero organizzare qualsiasi occasione per accendere la fiamma della solidarietà nei cuori della gente. Il prossimo anno spegnerà ottanta candeline, ma il suo fisico ancora atletico e la sua vitalità emotiva mi lasciano ammirato.
Nato a Macomer nel dicembre del ’26 si laurea a Cagliari in Medicina e Chirurgia. Inizia la sua carriera come universitario a Milano poi in Inghilterra, Firenze, Siena. Nonostante avesse vinto il primariato di Medicina di Grosseto rifiutò per tornare a Cagliari come assistente universitario e dedicarsi a questa carriera. Si pensionò da primario di Clinica Medica in Clinica Aresu.
Quando gli chiedo se preferisce che mi rivolga a lui chiamandolo Professore oppure Dottore esplode in una risata e risponde:

- Io sono pensionato, sono tornato semplice signore…

Non è falsa modestia, quella la conosco bene. È “modus vivendi”. Il suo altruismo lo proietta verso livelli di saggezza superiore, cui tutti dovremmo aspirare. Un solo obiettivo lo vede coinvolto: l’impegno quotidiano per la sua creatura e ne parla come farebbe un padre per un figlio che ama. Questa, per il Prof. Pitzus, è certamente una fatica ma anche una strada di vita, un sacro fuoco di speranza e solidarietà da tenere acceso, una responsabilità nei confronti di chi ha voluto affidargliela.

Chi leggerà questo articolo potrebbe volerVi sostenere con una donazione…

- Noi saremo lieti di accettare e ringraziamo fin d’ora chi vorrà farlo alle seguenti coordinate bancarie e postali:

BANCO DI SARDEGNA, Cagliari.
c/c 40070/8,
ABI 1015.7 CAB 4800.9

BANCAINTESA, Cagliari.
c/c 350591/80,
ABI 3069.2 CAB 4810.8

Conto Corrente Postale
Numero 18189092




Gianni Piludu
Il CAGLIARITANO febbraio 2005

12 gennaio 2006

Orroli

Quando il mio editore mi chiese di scrivere un articolo per un numero monotematico di "Sulla 131" decisi di parlarne attraverso un racconto... e mi inventai: "Orroli e il segreto di tziu Efis."

Penso che sarà il primo di una serie che poi intendo raccogliere in una futura raccolta...

I commenti sono sempre graditi... Buona lettura.

Orroli e il segreto di tziu Efis.

Era la festa di Santa Caterina. Cavalieri, “traccas” (1) e trattori lasciavano spazio ai balli in piazza ed ancora una volta si rinnovava il rito de “su ballu tundu” (2) che coinvolgeva giovani, anziani e bambini. Seduto all’ombra, sorseggiavo una birra fresca e osservavo la vita intorno a me. A Milano ogni giorno inseguivo il tempo, tiranno e ingordo delle mie forze, ma qui sembrava si fosse fermato. E io ero fermo con lui. Forse era questo il segreto di Orroli e dei suoi centenari. Loro fermavano il tempo come facevo io in quel momento. Arrivò, improvviso, un forte profumo di salsiccia arrosto che aumentò la mia salivazione.
- Meglio qui o a Milano?
Era tziu Efis. Mi guardava attento e aspettava la mia risposta. L’odore della salsiccia, che avevo sentito, lo dovevo a lui che mi portava, in un piatto di plastica, alcuni pezzi di carne fumante e coperta di mirto.
- Non scherziamo! Qui la vita è un’altra cosa…
- Ma tu, per lavorare,sei andato via! Che lavoro fai?
- Conosce… sa cos’è un computer?
- Come no! Non capisco come si possano fare i soldi stando tutto il giorno a guardare un “televisore”, ma lo conosco. Come no! Lo conosco, lo conosco…
M’ispirò tanta tenerezza, abbozzai un sorriso.
- E lei, tziu Efis, lei come si guadagnava da vivere?
- Com’è più giusto: ascoltando la voce della terra e non guardando televisori. Ho cominciato a zappare a quattro anni e a pascolare pecore a sette. Mi sono sposato, ho fatto tre figli, mi sono costruito la casa e mi sono comprato qualche terreno da pascolo...
- E ora si gode il meritato riposo…
- Riposo? Io continuo a svegliarmi prima che il gallo canti e ogni giorno, prima delle sei, ho già salutato “Su Gaffu" e “S’Arrubiu” (3) dal dorso del mio asinello.
- Passeggiate dal mattino presto?
- Lavoro, figlio mio. Lavoro… il bestiame non aspetta che me.
- Alla sua età? Quanti anni ha tziu Efis?
- Sono del 1907. Fai tu i conti!
Amavo discorrere con lui e non lo vedevo così vecchio come, almeno dal punto di vista anagrafico, avrei dovuto vederlo. Capii che un uomo invecchia solo se, e quando, lo decide. Lui n’era la prova vivente.
- Novantotto! Lei ha novantotto anni?
- E allora? Spero di poter lavorare almeno per altri cinque o sei anni, prima di ritirarmi.
Mi strappò un altro sorriso e lo provocai:
- Allora è vero: il segreto dei centenari è quello di lavorare sempre, fino alla fine?
- Quale fine? La fine non esiste! Se ascolti la terra fin da piccolo come ho fatto io capisci molto più di quello che ti può dire un televisore. Ma tu vai in continente… vai! Poi torni qui ad Orroli per fare il “turista”.
- Un momento! Io sono d’Orroli come lei…
- Tu? Tu sei nato ad Orroli. Ma non sei d’Orroli. Tu, ormai, sei solo un “turista” che crede di essere d’Orroli. Io sì che sono d’Orroli! …e non lo so solo io ma anche la terra che calpesti, ricordalo!
- Ancora questa terra…
- Tuo padre è morto troppo giovane e non hai conosciuto i tuoi nonni ma se così non fosse stato ora mi capiresti…
- Perché non me lo spiega lei, tziu Efis?
Stette zitto. Dal taschino del corpetto estrasse un mozzicone di sigaro toscano. Lo passò da una parte all’altra della bocca con un abile ed esperto movimento di lingua. Nel frattempo cercava nelle tasche dei calzoni qualcosa per accenderlo. Lo anticipai offrendomi di aiutarlo col mio accendino. Mi fulminò con lo sguardo…
- Li conosci i Minerva?
- I fiammiferi?
- I Minerva! Quelli voglio, non l’accendino!
- Ma cosa cambia?
- Cambia che aspiro la benzina dell’accendino e non lo zolfo del Minerva. Lo zolfo è terra, ed è salute!
- Ancora?
- Ancora cosa? Non ti ho detto nulla e sto pensando se è giusto che te lo dica. Certe cose non si dicono ai “turisti”. Certe cose devono rimanere in casa.
Provai fastidio e lui se n’accorse. Risposi con tono seccato
- Tziu Efis io non sono un “turista”, lei lo sa bene!
- Non prendertela. Sono vecchio ma non stupido. Quelli che vanno in continente poi si vergognano di quello che hanno lasciato. Se io ti rivelo certe cose come posso essere certo che non le dirai ai continentali?
- Perché? Cosa potrebbe succedere se, facciamo il caso, dovessi parlarne?
- Verrebbero per uccidere ciò che per noi è sacro, come hanno sempre fatto! Come hanno fatto con i boschi, col mare, con le tradizioni… Tutti! Dai romani agli spagnoli ai continentali…
- Tziu Efis, non è esattamente così. I tempi cambiano e le persone pure. Alcuni valori importanti per lei, e per quelli come lei, lo sono meno per altri. La vita va avanti…
- Ne sei sicuro? Sei sicuro che la vita, come dici tu, va avanti? Bene. Ti aspetto domani mattina alle sei all’uscita del paese per andare a “Su Pranu” (4)
Girò di spalle e mi lasciò così, senza aggiungere altro, senza un saluto. Feci finta di nulla, ma prima che voltasse l’angolo gridai:
- Ci sarò!
La mattina successiva lo attendevo respirando aria frizzante. Per essere sicuro di fare buona impressione ero arrivato all’appuntamento da almeno un quarto d’ora. In realtà ero in giro dalle cinque e venti. Avevo scattato alcune foto e immortalato le chiese di San Nicola, di San Vincenzo Ferreri e di San Vincenzo Martire sfruttando la particolare luce del sole che sorge e senza il fastidio dei passanti, del traffico. Aspettavo e sorridevo all’idea di essermi fatto trascinare da tziu Efis e dalle sue fantasie. Proprio io che amo dormire fin tardi. Mi ero convinto d’essere lì perché era mio dovere dare a quest’uomo la soddisfazione della continuità culturale secondo le sue tradizioni, anche se, razionalmente, non condividevo. Ne avrei fatto tesoro in ogni caso. Non era mia intenzione sottovalutare quanto, in fondo, faceva parte delle mie radici e di una parte di storia che la mia famiglia, per forza maggiore, non aveva potuto trasmettermi per tempo.
- Aspetti da molto?
- No tziu Efis. Sono appena arrivato.
- Non dire bugie! Sei arrivato da un quarto d’ora, ti ho visto.
- E mi ha fatto aspettare?
- Ti avevo detto alle sei! Le sei sono ora, siamo arrivati insieme.
- Chi?
- Io e le sei!
Certi aspetti caratteriali non si devono combattere, si accettano e basta. Pensai:
- Chissà come mi comporterò io, se mai dovessi arrivare all’età di tziu Efis…
Per questo mi venne da sorridere. Saliti sulla mia auto ci dirigemmo verso l’uscita del paese. Cercai di imbastire una conversazione…
- Quanti centenari conta Orroli?
- In questo momento? Quattro. Ma ne stanno per arrivare altri due, poi toccherà a tziu Efis…
- Glielo auguro di cuore. Se continua così non ho dubbi…
- Così come? Ritorni sulle tue convinzioni? Ho novantotto anni e nella mia vita non ho visto che questi monti, mai il mare… ci pensi? Io, che sono nato in un’isola, non conosco il mare. E allora? Ora che hanno fatto due laghi, il Mulargia e il Flumendosa, anche io ho il mare… ma quello che intendevo è che ho ancora tante cose da fare e da vedere. Questo mi aiuta a vivere di più e meglio.
Lecci e roverelle, molte delle quali secolari, e grossi massi erratici di basalto compatto e poroso descrivevano, intorno a noi, il paesaggio della mia infanzia, nulla sembrava cambiato. A parte la novità del parco “Su Motti”, che certamente offriva uno stimolo turistico importante, tutto era come un tempo. Glielo dissi.
- Non si chiudono le case delle fate (5) in un recinto. Ti piacerebbe se lo facessero a te? Io dico che quello che fai alla terra la terra te lo restituisce, sempre! Nel bene o nel male…
Dopo quest’osservazione, che per i toni con cui la fece mi turbò, parlò poco, quasi per niente.
La direzione, quella de "Su Pranu", rendeva inevitabile capire che eravamo diretti verso il “Nuraghe Arrubiu”. Una volta scesi dalla macchina assecondai subito il suo passo, più lento, fingendo di interessarmi alla natura circostante in attesa che il suo umore migliorasse. Poi, d’un tratto tziu Efis ruppe il silenzio:
- Lo vedi?
- Beh! È impossibile non vederlo.
- Sai quanti anni ha?
- So che gli studiosi hanno capito che è stato costruito tremilacinquecento anni fa.
- E sai perché il recinto ha cinque lati?
- No! So però che è l’unico nuraghe costruito in questo modo.
- E c’è un motivo. Ora lo scoprirai…
Pensai immediatamente ai risvolti mistici che ebbero, in passato, certi simboli geometrici e in particolare al collegamento del pentagono col pentagramma. Mi venne in mente l'episodio dell'incantesimo contenuto nel primo Faust di Goethe, l'Urfaust. Sicuramente tziu Efis aveva ereditato qualche ridicola credenza che sposava queste teorie e già pensavo a come non ridergli in faccia. Arrivammo in prossimità della Torre C. Tziu Efis si sedette su una pietra ed estrasse dal corpetto un rosario, poi cominciò a recitarlo in solitudine bisbigliando le parole. Io, per rispetto, mi misi in disparte e iniziai l’attesa. D’un tratto apparvero, come dal nulla, tre donne e un uomo molto anziani: erano i quattro centenari di Orroli. La più anziana tra loro, tzia Elena, si rivolse a me con un tono dolcissimo e mi disse:
- Tu ti sei perso, hai perso le tue radici. Ora dimmi: vuoi ritrovarle? T’interessa o preferisci la vita che hai scelto?
- Io non capisco cosa vuole dirmi. Non capisco lei e non capisco tziu Efis…
Ero in uno stato confusionale. Avrei giurato che tzia Elena fosse, a tratti, trasparente. Forse era un gioco della mia mente. Forse mi ero fatto un po’ prendere dall’alone di mistero e di magia a cui mi aveva condotto tziu Efis. La donna riprese:
- Entra dentro e arrampicati. Portati sopra, sul mastio centrale. Devi dominare la vallata.
- Che cosa succederà?
Tziu Efis alzò la voce e duro e seccamente mi urlò:
- Sei un “turista” o un orrolese? Vai per Dio! Vai e stai zitto!
Una volta sopra guardai verso il basso e vidi che i centenari e tziu Efis si posizionavano ai vertici del pentagono. Ebbi un brivido. Tziu Efis mi gelò con la sua voce:
- Giuseppe Locci, figlio di Fiorenzo, figlio di Agostino sei pronto?
- Pronto per cosa?
Replicai. Tziu Efis s’imbestialì e mi urlò:
- Sei pronto o no, per Dio?
Mi arresi. Feci cenno con la testa che intendevo continuare. Non li vidi più. Intorno a me, come in un film che scorre all’indietro, il paesaggio mutava a ritmi incredibili. Si alternavano le stagioni e i colori, scomparivano e comparivano mulattiere, animali, persone… cominciai a piangere come un bambino. Ero terrorizzato e non sapevo come uscire da questa situazione. Poi tutto cominciò a rallentare e giù, davanti a me, vidi mio nonno paterno, nonno Agostino, vestito con l’antico costume orrolese. Avevo visto il suo volto tante volte nell’unica fotografia rimastami che lo ritraeva. Sorridente mi tese la mano. Scesi dalla torre per andargli incontro. Mi carezzò il viso con mani ruvide e callose. Una canuta barba lunga e ingiallita dalla nicotina nei baffi, ma curata, incorniciava un volto tenero e sorridente. Era poco alto. Chissà perché lo immaginavo più alto.
- Nonno…
- Giuseppe! Ho poco tempo, devo andar via subito. Devo dirti una cosa importante e sono qui per questo.
- Ma nonno… non ti ho mai conosciuto e già mi lasci? Io non ti conosco…
- Nel tuo tempo! C’è un altro tempo che ti permetterà di conoscermi e non solo me… Ora vivi il tuo, poi vedrai il mio. Devi ascoltarmi…
Si volse verso il nuraghe e me lo indicò:
- Gli antichi ci hanno lasciato quest’eredità: una porta tra i nostri mondi. Non lasciarla in mano ai distruttori. Questa terra è sacra e non deve finire in mano a persone che potrebbero distruggerla. Tu devi tornare in paese, devi vivere qui e devi impegnarti a difendere questa terra e questa porta.
Fissò il mio sguardo prima di continuare…
- Tziu Efis ti ha scelto per diventarne il guardiano al posto suo. Lui tra sei anni ci raggiungerà e tu, per allora, dovrai essere pronto.
- Ma cosa devo fare?
- Sarai istruito in merito. Sappi che nessuno dovrà costruire qui intorno, nessuno dovrà saccheggiare o distruggere la sacralità di questo luogo che dovrà essere rispettata. Tu ne sarai responsabile.
- Ma come faccio? Io a Milano ho un lavoro, una casa, un futuro…
- Il tuo futuro è questo e il pane non ti mancherà. E neppure una famiglia. Tra cinque anni avrai un figlio maschio che chiamerai col mio nome.
Ma non ci furono spazi per ragionamenti o repliche. Svanì lentamente dicendo:
- Ciao Giuseppe. Noi ci sentiremo altre volte. Devo andare.
Non feci in tempo a dire altro. Da allora sono tornato qui. Sono diventato un orrolese e non sono più un “turista”. Questa sera ho accompagnato tziu Efis alla sua ultima dimora e domenica ci sarà il battesimo di Agostino, il mio primo figlio. Sono diventato il nuovo guardiano e la cosa mi piace. Ogni tanto vedo nonno e ho conosciuto anche mio padre. Ora, al tempo, non do più lo stesso valore di prima. Il tempo, per me, è come se non esistesse proprio. Anzi: il tempo non esiste più. Sono ad Orroli.


(1) Carro per le feste addobbato con drappi colorati, fiori, ghirlande di mirto.
(2) Ballo tradizionale la cui figura principale e il cerchio. Un’evoluzione del "Ballu Anticu". Su ballu tundu, come dice la parola stessa, era eseguito in circolo.
(3) Nuraghi. Il nuraghe Arrubiu è il più maestoso e imponente complesso nuragico esistente.
(4) Altopiano d'Orroli
(5)Domus de Janas

08 gennaio 2006

Pianeta donna...




Il mio rapporto con il pianeta donna è stato molto intenso, sin da bambino.

A mia madre devo dire grazie per il dono della fantasia.
Le favole e i racconti fantastici che hanno nutrito la mia prima infanzia sono ricordi forti. Conosceva "i tempi" e caricava con espressioni adeguate le "storielle", come le chiamava lei, che mi raccontava ogni giorno per farmi addormentare.
Mio padre conosceva solo la favola del "topolino di campagna"...che mi raccontava solo se insistevo fino a logorarlo.

Negli anni ho visto mia madre divorare migliaia di novelle d'amore.
Quando leggeva era solita bisbigliare le parole, qualche volta leggevo per lei.
Ha vissuto al fianco di un uomo che non ha mai compreso la voglia d'infinita tenerezza che questa donna reclamava. Non è mai stato argomento di conversazione tra me e lei, ma lo capivo gia da bambino.
Non che papà fosse un orso, sicuramente non aveva un retaggio tale da consentirgli di esprimere la parte femminile che c'è in ognuno di noi. Il culto del maschio virile e tutto d'un pezzo, piuttosto.

Credo che il carattere forte, spesso aggressivo, che mia madre ha sviluppato negli anni, non fosse altro che un grido d'aiuto. La ricerca di quello stato di protezione e di coccole che ogni donna reclama, e che mio padre, sordo per cultura, non ha mai raccolto.
Io in silenzio osservavo, e tutto questo faceva maturare in me un comportamento orientato alle esigenze che può avere una donna, a cercare di capirle meglio.

Le sorelle di mio padre, e nonna, mi hanno aiutato a pensare come una donna, a comunicare con loro meglio di chiunque altro della mia generazione. Questo dimostrerebbe che mio padre è stato rovinato dalle sue frequentazioni...
Le mie zie, Maria e Angela, avevano una sartoria, in casa di nonna.
Era un andirivieni continuo di donne che raccontavano, spettegolavano, si confidavano, parlavano. E io ascoltavo.
Chi poteva pensare che un bambino potesse capire i loro ragionamenti?
Solo zia Maria capì prima di tutti, e nacque un rapporto meraviglioso che rimpiango tanto.
Lei parlava molto con me. Aveva forte considerazione per la mia intelligenza. Affrontavamo temi importanti per un ragazzo che si affacciava alla pubertà e mi parlò dell'amore, di cosa si aspetta una donna da un rapporto con il proprio compagno. Mi parlò della dolcezza, della tenerezza che deve accompagnare una relazione. Di quanto può regalare una donna ad un uomo che riesce a farla sentire unica e importante. Pensava a voce alta e sapeva che io capivo, che si poteva fidare di me.

Sin dalla seconda elementare, fatta eccezione per il primo anno di liceo, sono sempre stato in classe mista. Il mio compagno di banco era di solito una compagna. Per non parlare dei gruppi di lavoro: ero sempre l'unico maschietto.
È inutile negare, preferivo la compagnia femminile.
In realtà avevo deciso di diventare "l'uomo ideale" e per questo dovevo sapere il più possibile sulle ragazze, dovevo pensare come loro.
Ambizioso il ragazzetto!
Questo mi creò qualche problema, alle scuole medie. Tentarono di insinuare una mia presunta omosessualità. Ragazzate, ma mi fecero male.
Primi amori.
Prime scottature e una macchina che tardavo a mettere a punto. Tutto quello che ti hanno insegnato fino ad ora è facile preda delle pulsioni giovanili. Sono loro che comandano. Rispetto agli altri ho qualche vantaggio perché mi comporto meglio, forse sono più attento, più dolce ma al dunque...penso ancora come un maschietto.
Ci metto molta buona volontà, ma mi concentro su diverse relazioni, per cercare l'amore.

L'amore è un sentimento che non devi cercare, ti trova lui.

Io l'ho cercato fino a convincermi che fosse solo un'espressione di sentimento ad uso e consumo di novelle, films e canzoni. Mi ero arreso all'idea che la realtà quotidiana era fatta di sentimenti buoni e onesti, ma non travolgenti.
Poi, ad un tratto l'amore arriva, e sconvolge.
Rimetti in discussione te stesso, ciò in cui hai creduto fino ad ora. Ti cambia la vita. Cominci a dare meno peso o importanza a cose che prima sembravano fulcro della tua esistenza. Soprattutto pensi meno a te stesso e più a lei.
Diventa importante scrivere e parlare d'amore. Devi farlo, per non scoppiare. Succede che quando leggi una storia d'amore finisci per viverla e vivendola vorresti condividerla con gli altri.

Commuoversi davanti ad una bella storia d'amore, magari al cinema. Quei baci pieni di passione, le lacrime di gioia oppure perdersi nelle espressioni di sentimento di una poesia o una canzone. Volevo questo, l' ho ottenuto. Vivere tutto in prima persona, com'è successo a me, è un augurio che faccio a tutti.
Mi piace scrivere canzoni d'amore, alcune di queste che seguono sono pezzi della mia vita ma si possono plasmare su quella di chiunque. Spero possiate condividere le stesse emozioni, le stesse sensazioni.
Se invece provenite da quel pianeta dal quale sono riuscito a scappare, mi aspetto di vedervi presto da questa parte.


brano tratto da
"Coriandoli"
di Gianni Piludu
Centro Studi Stampace Editore

06 gennaio 2006

Fumare...

Fumare. Mangiare e fumare. Fare colazione e fumare. Bere qualcosa in compagnia di un amico e fumare. Fumare…
La prima sigaretta l’ho fumata a 10 anni. Ho iniziato a fumare regolarmente all’età di 13/14 anni. Ho fumato di tutto: sigarette con e senza filtro e perfino al mentolo, sigari, la pipa.
Mai erba (giuro!).
Non mi ha mai coinvolto quel “senso del proibito” che pareva intrigare i miei amici e ho sempre ritenuto che potesse essere un biglietto d’ingresso per esperienze più disastrose con droghe più “importanti”. Fumavo per il piacere di fumare e ogni scusa era buona: per svegliarmi ma anche per dormire, per accompagnare il caffé, per digerire, per regolare le funzioni intestinali…
Fumavo sigarette dal forte carattere, mai leggère. Fumare era una passione.
Ricordo ancora quando smisi la prima volta: nove mesi trascorsi a sentirne il bisogno, ad inseguirne il profumo, a resistere alla tentazione di riprendere il vizio. Poi una sera festeggio un affare concluso e fumo, ah!, per sigillarne la conclusione felice (una nuova scusa!).
Dal giorno successivo fumo più di prima.
Un’esperienza in ospedale per un intervento mi mette in contatto con un mondo a me sconosciuto. Malati perchè fumatori. Arterie allo sfascio, interventi con tagli, che attraversano tutto il tuo corpo, per pulirle e migliaia di punti per chiudere le ferite, gambe amputate...
Ma che è? Ma il nemico numero uno non era il cancro? Poi l’illuminazione, una chiacchierata con un’adolescente. Mia figlia Raffaella, mi offre l’occasione per riflettere: non posso non considerami un drogato solo perché il fumo non è combattuto per legge. Non posso pensare di predicare contro le droghe, non ne ho l’autorità, se non faccio un passo indietro.
Presi la decisione di non essere più un cattivo esempio per mie figlie e, fissata una data entro la quale smettere, dopo una preparazione fisica e psicologica durata alcuni mesi, il 30 maggio 1999 ( giornata contro il fumo ) chiusi col vizio, con la dipendenza.
Da fumatore, accanito, non ho mai disatteso le esigenze dei non fumatori. Mai una sigaretta durante una fila ad uno sportello, mai in un ambiente di non fumatori, mai in un ristorante senza prima assicurarmi che i vicini di tavolo fossero, anche loro, fumatori come me.
A metà degli anni ottanta, per poter esercitare la carica di dirigente sindacale nazionale, viaggiavo spessissimo sulla tratta Cagliari-Roma, anche più volte la settimana. Ricordo che non appena si spegneva la luce che vietava di fumare si accendevano 80 sigarette come per incanto. Era veramente bisogno o una prova che non siamo differenti dai topi (leggi riflessi condizionati)? Quante tonnellate di parole sui giornali e quanto tormento quando passò l’iniziativa di eliminare il fumo sulle tratte aeree brevi. Sembrava un attacco alle libertà individuali. Poi tutto finì.

Sono stanco, ogni mattina, di vedere centinaia di cicche di sigaretta davanti ai locali sotto casa mia. La Legge vieta di fumare nei locali e questi STRONZI dopo che fumano buttano per strada... e sporcano.
Che schifo! E' mai possibile che non si possa fare ricorso ad un poco d'amore per la città, le sue strade... la gente...


Gianni Piludu
Pubblicato su "Il Cagliaritano"
Febbraio 2005

04 gennaio 2006

Tara Gandhi



Tra qualche giorno scriverò su Tara Gandhi.
L'ho conosciuta personalmente.
E' la prova vivente che il carisma esiste anche in forma suprema...
Dolcezza e colore accompagnano la sua vita e la sua umiltà è forza senza eguali.
Sardegnatavola di dicembre, ancora in edicola, esce con una copertina dedicata a Tara Gandhi, la foto è un mio scatto tra i tanti nel corso di Feste la trasmissione di Videolina, e con un diario della sua visita in Sardegna.
Collegatevi al sito che la riguarda...
http://www.taragandhi.com/celebration.asp

03 gennaio 2006

Marinai.

Li sulla spiaggia il mare suonava
La più antica delle melodie
Era l'alba di un Maggio che tornava

Ad aspettarli giovani spose
E mamme con gli occhi in pianto
Coi cesti pieni di petali di rose

Nell'aria ...campane che suonano a festa
La nave in vista all'orizzonte
Il santo con la lancia in resta.

Cani randagi di un tempo ormai passato
Armati solo di coraggio
In viaggio dove nessuno aveva mai osato

Pescatori di mondi sconosciuti
Eccoli: angeli in volo planato
Ricchi di gloria e onori mai avuti
Nell'aria ...campane che suonano a festa
L'ancora è stata già buttata
Grazie a Dio è passata anche questa.

Ora la notte scende sui tetti
Dentro i racconti fantastici
Sopra stanche membra, sui loro petti
Ad ascoltarli ...giovani spose
E mamme con la gioia in cuore.
Nell'aria profumo di rose

Ora le campane scandiscono le ore
Si sentono le voci della notte
Si intrecciano i corpi ... con amore.

La mia passione per il mare mi accompagna fin dall'infanzia. È nata quando leggevo, ma sarebbe meglio dire "divoravo", testi di Salgari su pirati e corsari. È stata sostenuta dai documentari di Jacques Cousteau, che vedevo soprattutto con mio padre in televisione.
Già da allora mi ripromettevo che un giorno anche io avrei praticato immersioni e realizzato documentari. Mio padre commentava negativamente, era una passione per ricchi e superuomini. Non incoraggiava mai, ed è una abitudine che non ha perduto. A tal proposito è singolare sottolineare che pur essendo un buon nuotatore, non mi ha mai insegnato a nuotare e neppure ad andare in bicicletta ... lui che è stato corridore professionista!

Ho sempre dovuto cavarmela da solo.
Ho imparato ad andare in bicicletta a 13 anni. Un amico, che ne aveva una ormai vecchia, me la prestò per impratichirmi. Non ci riuscivo.
Gli chiesi: "Se la dovessi rompere..." mi rispose: "Non devi preoccuparti, tanto non mi serve più...". Sfidai me stesso, le mie paure, il mondo e mio padre in testa.

Sull'orlo di una discesa pazzesca, ansa di un argine di acque pluviali, mi feci il segno della croce e mi lasciai andare. Il resto è storia.
Feci lo stesso per imparare a nuotare. Una maschera a tutto viso che chiesi in prestito ad un amico, mi pare si chiamasse mentoniera, contribuì a darmi coraggio e a provare, in totale solitudine, a vincere le mie paure.
Mi trovai come d'incanto a galleggiare e il cuore che mi scoppiava dalla felicità. Con questo semplice sistema avevo imparato a nuotare, da solo.
È una tecnica che poi ho utilizzato, negli anni, per insegnare a galleggiare e poi a nuotare ad almeno una sessantina di persone.

Agli inizi degli anni novanta studiai per il brevetto di sommozzatore che ottenni dopo nove mesi di duro studio e preparazione fisica. Per alcuni anni produssi insieme a Fulvio C., un cugino di mia moglie, alcuni documentari subacquei che vinsero premi nazionali ed internazionali.

Capii però che nonostante la qualità professionale dimostrata, gli spazi per una carriera in quell'ambiente erano troppo limitati e il mediocre sodalizio artistico con Fulvio non mi aiutava a voler continuare.
Mi levai, comunque, una soddisfazione enorme: dimostrare a mio padre che ero stato in grado di produrre documentari subacquei perché credevo in me e perché avevo orgoglio da vendere. Non so se lui abbia recepito. Ad un certo punto della mia vita ho l'impressione che abbia cominciato a darmi per scontato, probabilmente trascurando l'aspetto legato al sacrificio per raggiungere un obiettivo. Manifesta, ad ogni modo, un certo orgoglio per alcune cose... con gli altri, così mi dicono.
brano tratto da "Coriandoli" - Gianni Piludu
Centro Studi Stampace Editore


02 gennaio 2006

Svegliarmi accanto a te




Svegliarmi accanto a te
Ogni giorno della mia vita
E svegliarti con amore ...dolcemente

Inseguire le tue labbra con le dita
Carezzare i tuoi capelli con le mani
Rubarti il primo bacio ed un sorriso.

Raggiungere piano i tuoi pensieri
Ascoltarli parlare d'amore.
Proteggerli ...sentirli, vivi e sinceri,
Svillupparsi simili a un fiore
Che crescendo mi aiuta a capirti
E la notte mi fa sognare di te.

Stringersi, toccarsi, sfiorarsi,
Baciarti e stare ad ascoltarti ...
Guardarti, sorriderti ...e poi cercarsi

Rincorrersi come adolescenti
Amarsi con adulto amore
Che ti avvolge, senza far rumore.

Portami per mano per il mondo
Dentro il tuo pensiero più profondo
Tienimi nell'anima, serbato
Senza lasciarmi andare mai più via.
Sentire solo d'essere amato
Da te, unico amore della vita mia.



Gianni Piludu

01 gennaio 2006

Odori del passato...


Potremo mai dimenticare le grida di gioia dei bambini all'uscita di scuola? Immancabilmente segnavano la fine delle lezioni.
Quel suono arrivava alle orecchie, unico e inimitabile, e accompagna i ricordi scolastici di tutti noi. Era gioia di poter tornare al nostro mondo, alle mamme amorevoli che ci venivano incontro.
Liberi, finalmente!
Fuori, tutti fuori. Fuori da quei casermoni tetri, tristi e bui dentro i quali eravamo chiamati ai nostri doveri, al silenzio, alla disciplina.

L'ora della ricreazione.

Magico evento di socializzazione secondo solo ai pochi minuti che precedevano il suono della campana d'ingresso.
Approfittavamo di questi frangenti per scambiare "figurine", biglie o chissà cosa, per commentare gli spettacoli televisivi del giorno prima (trasmessi dagli unici due canali Rai), per tessere le nostre amicizie o morire, ma rigorosamente di nascosto, dietro il verde dei meravigliosi occhi di quella del terzo banco, che non ci filava neanche un po'.

Poi gli odori.

L'odore di scuola!
Quell'odore così particolare che ancora oggi si respira e che noi adulti continuiamo a percepire quando torniamo in questi locali per accompagnare i nostri figli o in occasione delle votazioni per le elezioni politiche. Una "fragranza" frutto di un miscuglio d'odor di carta, colori, colle, umori di bambini, disinfettanti e qualche ingrediente segreto, forse magico, che esprime la personalità finale di quello che io definisco "l'odore di scuola".

E i bidelli?

Dopo la maestra le figure più importanti per un bambino. Sempre pronti ad intervenire in nostro soccorso, sempre dolci, spesso amorevoli. Se la maestra era affettuosa e presente come può esserlo solo una mamma, loro erano premurosi come nonni.